Non mi hai mai detto che ero capace

Di recente mi è capitato di avere nuovamente in aula una corsista di un precedente corso di informatica, terminato con una certificazione di competenza formale. Il corso era di natura laboratoriale e il compito finale era stato una presentazione progettata e realizzata dai corsisti con la supervisione dei docenti.
Nella nuova situazione l’informatica non era più l’oggetto, ma lo strumento per apprendimenti riguardanti il linguaggio, la comunicazione, il far di conto.
Vedendo questa corsista in difficoltà le ho ricordato gli apprendimenti passati; forse si trattava solo di riprendere qualche abilità “arrugginita”.
Mi ha sorpreso dicendomi “ma tu non mi hai mai detto che ero capace!”
Fino a quel momento avevo pensato che un compito autentico, non il semplice esercizio, portasse con sé la consapevolezza della propria competenza; ritenevo che il prodotto – “questo l’ho fatto io!”- non necessitasse di uno specifico rinforzo da parte del formatore.
Il compito era stato pensato per l’esame finale. Lo scopo dimostrare la capacità d’uso delle abilità apprese, attraverso la realizzazione di un prodotto. La competenza da raggiungere era stata dichiarata nel Documento di lavoro fornito e condiviso nel contratto formativo iniziale. L’argomento, scelto dai corsisti, implicava non solo abilità tecniche ma anche una competenza iniziale di utilizzo del software a fini comunicativi. Infine il prodotto era stato mostrato ai docenti e alla classe in un rito finale, concluso con la consegna dall’attestato del corso che certificava la competenza acquisita. Eppure…
Cosa era mancato?
Articolo a cura di Renza Cambini